That's
Entertainment, Bob!
Bob Simon, americano di
nascita ma adottato artisticamente dall'Italia,
ha
avuto modo di dimostrare il suo eclettico
talento in Rocky Horror Show, La febbre del sabato sera, fino al recentissimo
grande successo
di Evita, in cui ricopre il carismatico ruolo
del Che: entusiasmo, allegria e straordinaria professionalità
al servizio del musical
Difficile
non rimanere conquistati dall'immediatezza di
Bob Simon, dal suo
modo gioioso di comunicare, tipicamente
americano. Queste qualità, insieme
al rispetto dell'interlocutore, fanno sì che
il bravo artista abbia, in Italia, parecchi
fan.
Interprete d'eccezione della tournée inglese
di Rocky Horror Show, dopo il grande successo
di pubblico, Bob Simon ha preso parte con lo
stesso successo anche alla nuova produzione
che il Teatro Nazionale Milano Musical ha
messo in scena lo scorso ottobre, La febbre
del sabato sera, nei panni del DJ Monty.
Lo stesso Massimo Romeo Piparo, direttore
artistico del Nazionale e regista
della ripresa di Evita ha pensato bene
di affidare a Bob Simon il ruolo
«portante» della mitica saga della regina
dei descamisados argentini, cioè l'altrettanto
mitico Che Guevara, personaggio assolutamente
estraneo, storicamente, a Evita Peron ma,
genialmente introdotto da Webber e Rice nel
musical e da Parker nel famoso omonimo film,
con protagonisti Madonna e Antonio Banderas.
E proprio qui sta la grande scoperta di un Bob
Simon che ha dimostrato, nei
panni del rivoluzionario «Che», grande
talento e professionalità, riscuotendo ancora
più successo sia da parte del pubblico che
della critica.
«Sono un uomo molto fortunato esordisce un
sorridente Simon, incontrato
durante le repliche dello spettacolo perché
faccio una cosa che amo
intensamente, non lo considero un lavoro ma un
grande divertimento, il palcoscenico è la mia
vita».
Appunto, la tua vita artistica: cerchiamo di
tracciare un rapido excursus...
«Sono nato a Cleveland, e da giovanissimo ho
iniziato a lavorato in teatro,
da dove sono partite poi tutte le mie
magnifiche esperienze in teatri di grandi città
americane, tra cui Los Angeles e la stessa
Cleveland, con spettacoli importanti come A
chorus line, The King and I, West
Side Story, Oliver, Grease;
ma il grande spartiacque è stato, a Los
Angeles, Rocky Horror.»
Come è avvenuta questa rottura tra il
musical, cosiddetto classico e uno spettacolo
completamente nuovo, nella sua concezione...
«La giusta audizione nel momento giusto; ho
visto un'edizione del film, The Rocky
Horror Picture Show in videocassetta, il
martedì e il giorno dopo, mercoledì, ricevo
una telefonata per un'audizione il medesimo
giorno per la riduzione teatrale. Ho risposto
che erano completamente matti! Ho fatto l'audizione
giovedì, e venerdì Christopher Malcolm e
Richard O¹Brien mi hanno detto che la parte
era mia. Da qui è iniziata la tournée di Rocky
durata per circa cinque anni. Prima negli
Stati Uniti d'America e poi siamo arrivati in
Europa: Italia, Austria, Germania, eccetera».
Una bella esperienza. Poi sei tornato in
America.
«Sì a Los Angeles, nel 1999 al Tiffany
Theater sul Sunset Boulvard, a distanza di
pochi centinaia di metri dal Teatro Roxy, dove
vent¹anni prima Tim Curry aveva interpretato Rocky;
è stato veramente eccitante essere sul Sunset
Boulvard».
Il tuo debutto italiano risale al 1996, con la
tournée di Rocky. Che cosa ha fatto sì
che tu scegliessi l'Italia come tua nuova
patria artistica? Solitamente avviene il
contrario: il sogno di un artista italiano è
di raggiungere Broadway, il mito americano; tu
invece decidi di fermarti in Italia.
«Amo molto l'Italia, amo molto il teatro
italiano e poi ogni tanto è più piacevole
essere il grosso pesce in un acquario piccolo
che un pesce piccolo in un grosso acquario».
Rimane, comunque, il fatto che la metodologia
di lavoro è differente. Il modello artistico
americano non sempre combacia con quello
italiano...
«Oh... è molto più divertente qui in
Italia. Il pubblico apprezza di più il nostro
lavoro. In America, ad esempio, stai per
finire lo spettacolo che già il pubblico è
sulla via del guardaroba, invece in Italia l'entusiasmo
è più caldo e prolungato. Per quanto
riguarda la diversa metodologia di lavoro,
penso che il teatro sia teatro comunque,
dovunque lo si faccia. Lo spettacolo è
comunque uno spettacolo, certo ogni regista ha
la sua personale visione della medesima
storia. Ad esempio con Massimo Piparo,
regista degli spettacoli mi trovo bene, a
prescindere dall'idea registica che ha del
singolo personaggio che vado ad interpretare.
La mia esperienza italiana è stata
positivissima, e quando ritornerò in America
sarò Bob Simon che ha lavorato in Europa».
Certo l'esperienza italiana fa curriculum
nella vita di un artista; tutto sta in come l¹America,
patria del musical, vede l'Italia artistica...
«Onestamente, ogni volta che io parlo con i
miei amici e colleghi americani mi chiedono
cosa sto facendo in quel momento e mi dicono
che sono fortunato a poter lavorare in Italia;
amano molto il vostro Paese e vorrebbero
venire, da New York a lavorare a Milano. In Evita
c¹è una collega, Catherine, che ormai è in
Italia da cinque anni e si trova benissimo.
Qui è tutto molto più rilassante».
L'ultimo tuo personaggio, il «Che», è un po'
agli antipodi di quelli interpretati in
precedenza nella tua esperienza italiana. A
conti fatti, avendo visto lo spettacolo, penso
che ti calzi a pennello e ti offra il modo di
evidenziare le tue grandi doti di artista.
Cosa ne pensi?
«Non avrei mai pensato di interpretare il
Che, tanto è vero che quando Massimo mi ha
contatto per offrirmi una parte nello
spettacolo Evita, ha pensato al ruolo
di Peron; due settimane dopo, mi dice: "Cosa
ne penseresti Bob di interpretare il Che?"
Ho pensato che lui fosse pazzo; perché la
tessitura vocale della parte è molto alta e
oggi sto ancora ringraziando Dio per avercela
fatta. È un ruolo stupendo e molto
divertente; e poi, a differenza di Rocky
dove la gente comunque urla ed esulta ad ogni
mia performance, nel Che no, il pubblico mi
sta ascoltare con attenzione e questo per me
è molto importante. Che per me è un buon
amico».
Non pensi che questa grossa personalità
sovrasti quella di Evita, che dovrebbe essere
la vera protagonista?
«Lo spettacolo è Evita, è lei la
protagonista, il mio personaggio è una
contrapposizione al suo modo di essere. Non
penso che succeda il contrario, è tutto
equilibrato; Evita Peron muore e la gente
davanti alla morte si commuove sempre. Il mio
personaggio è un po' strafottente, può anche
non piacere».
Fra tutti i personaggi da te interpretati
quali di questi si avvicina un po' di più al
tuo vero carattere?
«This is the question! Penso un po' di più
Frank'N'Further... fino a qualche settimana
fa, ora, dopo qualche problemino di salute, ho
bisogno di più tranquillità, devo essere un
po' meno elettrico, ma rimane sempre il
personaggio a me più vicino».
Dopo Evita?
«Farò, qui al Nazionale, un Gala del
musical, insieme ai tanti colleghi che hanno
interpretati i musical più applauditi e
dopo.... finalmente tre lunghi mesi di
vacanza; vado a Cleveland che d'estate è
bellissima. Dopo riprenderò le previste tournée
della "Febbre" in giro per l'Italia;
continua il mio lavoro con il Teatro Nazionale
Milano Musical; è un po' come la mia seconda
famiglia, in teatro, per me, è molto
importante lavorare con persone con cui si sta
bene... si lavora meglio!».
Cosa farà da grande Bob Simon?
«Mi piacerebbe molto insegnare teatro,
comunicare ad altri la mia gioia di vivere sul
palcoscenico, l'esperienza vissuta in America
e nel mondo; qui in Evita ci sono dei
bambini che vedo estasiati nell'ammirare la
magia della scena. Ecco, mi piacerebbe poter
trasmettere questa magia a tante persone,
affinché amino il teatro come lo amo io. In
Italia ci sono tanti artisti di grande talento
e spero che in futuro il musical non sia solo
appannaggio di pochi "poli"
irrinunciabili, come New York e Londra. Dio
salvi l'Italia!».
L'entusiasmo e l'allegria non mancano a Bob
Simon; i suoi fans lo possono
seguire anche in rete sul sito: www.bobsimon.org.
Sabino Lenoci
|