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LA STRAORDINARIA VITA DI EDITH PIAF IN UN MUSICAL

 

E’ andato in scena al teatro «La Gran Guardia» di Livorno, giovedì 4 dicembre, in prima nazionale, «Edith Piaf. L'himne à l'amour». Uno spettacolo teatrale dedicato a uno dei miti assoluti del Novecento. «Le vie en rose», tanto per dire una delle canzoni rese immortali dalla sua voce. A raccontarla, a mettere insieme i capitoli di una vita difficile, vissuta sempre vicino al limite di velocità, al confine tra l'estasi e la tragedia, l'amour fou e il dolore, è stato chiamato Carlo Lizzani. Il regista di «Cronache di poveri amanti» cura la regia della pièce, interpretata da Antonella Steni e da Paolo Malco, nei ruoli della cantante e di Jean Cocteau, il regista, genio del Surrealismo, che fu amico di Edith: i due, uniti nella vita, lo furono anche nella morte, avvenuta per entrambi l'11 ottobre 1963.Lo spettacolo non a caso ha debuttato a Livorno: la madre di Edith Piaf, la cantante Line Marsa, era livornese. I protagonisti saranno affiancati da altri attori e da un corpo di ballo. Dopo il debutto, lo spettacolo sarà in scena a Firenze, Bologna, Parma e Roma. Prodotta da Mario Smeriglio, la pièce è stata scritta da Giuseppe Manfridi.Ed è una bella sfida per Carlo Lizzani, che ha 81 anni ed è al suo debutto come regista di musical.
Lizzani conobbe la Piaf nel dopoguerra, quando era collaboratore di Renzo Rossellini per "Germania anno zero". La produzione era a Parigi. E Parigi, in quegli anni, era il centro del mondo. C'erano Marlene Dietrich, Jean Gabin e Michèle Morgan. C'era Cocteau, c'era Edith Piaf.
Ricorda una Piaf carismatica, intensa, ribelle e appassionata. Era la voce di una Francia sofferente e tormentata. Nella sua voce, si vedeva il mondo degli artisti di strada, si conosceva la poesia e la solitudine. La scelta è stata non realizzare semplicemente un recital di canzoni famose, ma di raccontare gli episodi più significativi della sua esistenza. Antonella Steni, che è conosciuta soprattutto come grande interprete di commedia leggera, ha stupito poi il regista nelle prove per la sua intensità, e per la voce straordinaria.
Nello spettacolo si intrecciano due piani narrativi : Jean Cocteau stappa una bottiglia di champagne, a festeggiare un anniversario. Si capisce dopo che è l'anniversario della loro morte, e che stanno celebrando nell'aldilà. In un altro piano narrativo, la Piaf è viva e vegeta e agisce sul palco.
Episodi emblematici scandiscono il racconto: Edit Piaf ha avuto una vita romanzesca: è stata abbandonata subito dalla madre, ed è cresciuta con il padre e con la nonna, che era tenutaria di un bordello. È cresciuta fra grida, amori di passaggio, una vita di strada. Poi ha avuto amori tempestosi, numerosi, anche celebri, come quello con Yves Montand.
E fra i suoi amori, si dice, anche che ci fossero rapporti con militari nazisti, durante l'occupazione della Francia. È un capitolo oscuro della vita della Piaf, e tutto questo viene accennato: si difende, nello spettacolo, dicendo che molti autori delle sue canzoni sono ebrei. Ricordiamo che fu la Piaf ad aiutare a fuggire alcuni suoi musicisti, che sarebbero sicuramente finiti in un lager.
L'ultima canzone, "L'hymne à l'amour", è anche quella che dà il titolo allo spettacolo, e forse si tratta di uno dei testi più belli che siano mai stati scritti. Perfetto, per Edith. Recita: “poco importa se tu mi ami, non m'importa niente del mondo intero, finché l'amore inonderà i miei mattini, fin quando il mio corpo fremerà sotto le tue mani. Io andrò fino alla fine del mondo, io mi farò tenera e bionda, se tu me lo chiederai. Ruberò la luna, ruberò la fortuna, se me lo chiederai. Se un giorno la vita ti strapperà a me, morirò anch'io, avremo per l'eternità il blu di tutta l'immensità”.

 

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