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in scena “Rugantino”, la commedia musicale italiana più
popolare e più amata. A quarantadue anni dalla nascita la storia
del “paino” più
famoso di Roma mantiene inalterato il suo fascino, la sua comicità,
le sue emozioni.
“Rugantino”,
scritta da Garinei e Giovannini con la collaborazione di Massimo
Franciosa e Pasquale Festa Campanile e musicata dal M° Armando
Trovajoli, è uno spettacolo che si può definire “sempreverde”.
Infatti,
rappresentato per la prima volta nel 1962, è stato sempre
recepito dagli spettatori come una grande novità. E questo grazie
alla validità spettacolare non legata ad una moda o a un gusto,
ma ad una sostanza poetica e uno spessore storico che non possono
non fare presa su tutti.
Rugantino
è stato rappresentato per la prima volta a Roma , al Teatro
Sistina, il 15 dicembre 1962. Rugantino era Nino
Manfredi, Rosetta Lea Massari; Mastro Titta aveva il
volto di Aldo Fabrizi e Eusebia quello di Bice Valori.
Con lo stesso cast - unica variante Ornella Vanoni al posto di Lea
Massari nel ruolo di Rosetta - Rugantino debuttò al Teatro Mark
Hellinger di New York nel Gennaio 1964. Per
rendere comprensibile il dialogo agli spettatori americani, per la
prima volta vennero usati dei sopratitoli: la traduzione inglese
veniva proiettata su uno schermo sospeso in alto sul palcoscenico.
Una
seconda edizione di Rugantino fu presentata, sempre al Sistina, il
18 Dicembre 1978 con Enrico Montesano nei panni di
Rugantino e Alida Chelli in quelli di Rosetta.
La
terza edizione è stata rappresentata di recente, il 22
Dicembre 1998 con Valerio Mastandrea, Sabrina
Ferilli, Maurizio Mattioli e Simona Marchini.
LA
TRAMA
La
commedia è ambientata nella Roma papalina del '800 . Protagonista
è Rugantino un ragazzo tanto sfrontato quanto pauroso, amante
della vita e delle donne quanto allergico al lavoro; egli vive
giorno per giorno di espedienti grazie anche a Eusebia che, pur di
scroccare vitto e alloggio al "frescone" di turno , fa
passare per sua sorella. Il "frescone" di turno è
appunto Mastro Titta, proprietario di un osteria nonché boja per
lo stato pontificio, che ,inizialmente ingannato dai due, si
innamorerà e farà innamorare di sé Eusebia.
Avvenimento
fondamentale per la trama è la scommessa nella quale Rugantino si
impegna con i suoi amici: sedurre la bella Rosetta moglie del
gelosissimo Gnecco detto il matriciano. Nel giro di poco tempo ,
complice l'assenza di Gnecco che è stato bandito da Roma accusato
di omicidio, Rugantino si innamorerà di Rosetta e ricambiato nei
sentimenti decide di rinunciare alla scommessa non raccontando
nulla ai suoi amici. Ma Rugantino sempre Rugantino è e perderà
Rosetta quando questa si accorgerà che non è stato capace di
mantenere la sua parola. Pur di riconquistarla si autoaccuserà
dell'omicidio di Gnecco che viene trovato morto, ucciso in realtà
da un'altra persona per vendicare l'omicidio del quale il
matriciano si era reso protagonista.
Rugantino
verrà giustiziato proprio da mastro Titta e morendo dimostrerà
di essere quello che non è mai stato, un vero uomo, stimato e
ammirato da tutti.
L'IDEA
(tratto da www.ilsistina.com/geg)
L'idea
di uno spettacolo ispirato alla maschera di Rugantino venne
contemporaneamente a G&G e a tre sceneggiatori
cinematografici: Pasquale festa Campanile, Massimo Franciosa e
Luigi Magni. Fu raggiunto un compromesso, si sarebbe lavorato
insieme per la realizzazione prima del musical e poi del film. In
questo spettacolo "esordì" alle musiche Armando
Trovajoli che si trovò di fronte ad un compito difficile essendo
la Roma del tempo essenzialmente priva di una propria tradizione
musicale, tutto si facilitò dopo la nascita di Roma nun fa la
stupida stasera. "Per me è stato un amore, Rugantino lo
avrei fatto per tutta la vita" diceva Manfredi ,"dopo
qualsiasi parte mi è sembrata facile".
Il
finale della storia rappresentò il problema più grosso e per
G&G fu l'occasione per uno dei loro rari dissidi. Secondo
Giovannini, Rugantino doveva riscattarsi morendo da uomo
rispettabile pur essendo innocente. Secondo Garinei questo era uno
choc troppo grande da dare al pubblico, ma alla fine Rugantino morì.
Manfredi racconta quanto grande fosse lo sforzo di condurre il
pubblico per mano dalla gioia della fine del primo tempo al finale
drammatico della commedia e quanta fosse l'incertezza nei
confronti della reazione del pubblico. La sera della prima il
finale fu seguito da dieci lunghissimi secondi di silenzio e da un
boato di applausi: la gente stava applaudendo con gli occhi
lucidi. L'anno dopo Rugantino era in viaggio per New York, un
impresario aveva apprezzato il lavoro e deciso di esportarlo.
Prima della tournèe fu deciso di fare degli spettacoli in Canada
una sorta di prove generali; dall'alto del palcoscenico scendeva
uno schermo decorato con una cornice romana dove venivano
proiettati i sopratitoli in inglese. "Nessuno avrebbe
immaginato - raccontava Manfredi- che in platea ci sarebbero stati
anche molti italiani, assistemmo così al buffo fenomeno della
doppia risata, degli italiani prima e degli stranieri dopo".
"Il
nostro arrivo a Toronto -ricorda Fabrizi- fu un mezzo disastro. io
mi ero portato qualcosetta da mangiare che pensavo non si trovasse
in quei paesi. L'olio buono, la pasta, i pomodori il pecorino
romano, il necessario insomma per sopravvivere decorosamente. Alla
dogana l'apertura del mio baule scatenò il finimondo, mi
sequestrarono tutto. L'unica cosa che mi lasciarono fu una
confezione di bicarbonato, tenetevela pure, dissi, tanto tutto
quello che dovevo digerire me l'avete tolto".
Il
debutto a New York fu perfetto "anche se- dice Garinei - ci
sentivamo come chi va a vendere orologi in Svizzera". Fabrizi
era molto legato al suo personaggio, al punto che rifiutò di
farsi sostituire anche in una sola prova, anche quando si sentì
male a Buenos Aires. Quel personaggio GeG gliel'avevano proprio
scritto addosso tanto che Fabrizi per la prima volta nella sua
vita accettò la parte senza nemmeno leggere il copione.
Ammise
Manfredi: "Senza Fabrizi nessuno di noi ce l'avrebbe fatta
così bene. Nella seconda parte dello spettacolo io , ad esempio,
mi appoggiavo a lui come a una montagna, mi potevo fidare, sapevo
che mi avrebbe portato nella direzione giusta. C'era solo un piccolo
problema: quello che lui chiamava "modeste aggiunte".
Fabrizi era un parlatore ed un improvvisatore da cui perfino
Walter Chiari sarebbe potuto andare a lezione. nei tre anni dello
spettacolo fu una guerriglia continua tra lui e G&G combattuta
alla romana.
Mastro
Titta è la reincarnazione del tipico oste romano, un borghese dal
cuore d'oro che attende il premio pontificio per sognare ancora e
ritrovare la gioia di "una donna dentro casa, che lasci il
bocaletto accanto a du' bicchieri, per fasse assieme l'urtimo
goccetto che scaccia li pensieri". Il personaggio, costruito
su misura per l'abilità dialettica e le movenze fisiche di Aldo
Fabrizi, è un'impareggiabile interpretazione che ha segnato il
modo di porsi e di muoversi sul palcoscenico. Battute memorabili
integrate perfettamente con l'ansimare di un uomo affaticato dal
proprio fisico e dalle proprie speranze … una sorta di sparviero
a coppe d'animo gentile alla ricerca del calore familiare perduto
troppo presto a causa del suo sgradevole "secondo
lavoro".