IL RESTO DEL CARLINO - 14/09/04
L’INTERVISTA Marconi
«Broadway sì ma vuoi mettere un Pinocchio?»
di Luciana Cavina
TOLENTINO (Macerata) — La lunga tournée di Sette spose per sette fratelli
è appena terminata in bellezza, inaugurando ad Ancona, lo scorso weekend,
il cartellone del Teatro delle Muse. Alle spalle, 600 repliche. Ma è solo
uno degli ultimi successi della Compagnia della Rancia, la più prolifica e
accreditata per la produzione di musical in Italia. Dal teatro Vaccaj di
Tolentino, dove la Rancia ha la sede operativa, il direttore artistico,
Saverio Marconi, ha sfidato Broadway traducendo in italiano titoli come A
Chorus Line o Grease, o realizzando musical del tutto tricolori, come
Pinocchio con musiche dei Pooh, ancora in tour, così come Cantando sotto
la pioggia.
Quando ha fondato la compagnia si aspettava tanta attenzione del pubblico?
«Non abbiamo mai creduto a chi riteneva impossibile tradurre in italiano
spettacoli tipicamente americani. Invece la gente vuole entrare nella
storia, comprendere i testi delle canzoni e non sentirsi estranea alle
ambientazioni. Abbiamo avuto ragione».
Insomma, il musical piace?
«Da due anni gestiamo il Teatro Diners della Luna a Milano, solo di
musical: è il terzo in Italia per incassi».
La sua passione per questa forma di spettacolo a quando risale?
«Alla mia infanzia: da piccolo al cinema potevo vedere solo i grandi film
musicali americani. Gli altri erano o violenti o per altre ragioni non
adatti ai minori».
È inevitabile copiare dagli Stati Uniti?
«Copiare un po’ è doveroso, soprattutto i grandi titoli di Broadway. Ma
c’è anche bisogno di spettacoli italiani, e noi li facciamo. Oggi ho
adattato Pinocchio, che è una storia spettacolare, con 24 cambi di scena.
In passato ho diretto Fregoli, di Chiti, Moretti e Renzullo con Brachetti
protagonista, e ho scritto Dance, andato poi in scena con Paganini».
Allora, non abbiamo nulla da invidiare?
«Siamo già troppo colonizzati dagli americani. E vantiamo una nostra
peculiarità. Le prime commedie musicali all’italiana sono state inventate
da Garinei e Giovannini. Anche le traduzioni della Rancia comunque sono
caratterizzate da una certa italianità: facciamo emergere una tradizione
artistica e culturale che nazioni relativamente giovani come gli Usa e
l’Australia non hanno. L’importante è trovare chi i musical li sappia
fare: bisogna recitare, cantare, ballare, e saper dirigere ritmi molto
diversi dalla prosa, nonché studiare belle scenografie».
Certe professionalità scarseggiano?
«Ci sono molti giovani appassionati. Ma serve tempo: ci sono
professionisti preparati tra i quarantenni, mentre praticamente non
esistono tra i 50 e 60 anni».
Ha spesso lavorato con personaggi celebri: una scelta obbligata?
«In Pinocchio c’è Manuel Frattini, che prima era sconosciuto: l’ho
scoperto io e ne vado fiero. È vero che ho spesso protagonisti famosi, ma
perché sono all’altezza e rivelano doti che altrove, magari in tv, non
sfruttano. La Cuccarini in Grease, ad esempio, ha dimostrato di essere una
forza della natura».
In Cantando sotto la pioggia torna Paganini.
«Lui è impeccabile, come danzatore e come interprete. Poi c’è Justine
Mattera, che si è rivelata molto divertente, perfetta per questo
spettacolo di cui tutti conoscono il titolo o la canzone, ma pochi
ricordano la storia, che è piuttosto comica: parte da un attore di film
muto che con il passaggio al sonoro si trova in difficoltà perché ha una
voce sgradevole».
La prossima fatica?
«Stiamo preparando Tutti insieme appassionatamente e provinando molti
bambini».
C’è un titolo che vorrebbe mettere in scena?
«Tutti, direi. La voglia è sempre quella di scrivere storie inedite, ma
servono almeno tre anni. Invece per tradurre un musical già esistente
bastano pochi mesi».
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