IL TIRRENO  - 18/03/2003

Metti una favola in musical 

Saverio Marconi: «Io e Benigni con Pinocchio nel cuore» 

Parla il regista pratese che insieme ai Pooh ha portato Collodi in teatro 

FABIO BARNI 

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PRATO. C’era una volta un gruppo di giovani che scopriva il fascino del palcoscenico sudando dopo la scuola nel Teatro Studio del Metastasio. Fra quei giovani c’erano anche Roberto Benigni e Saverio Marconi che insieme debuttarono in «Una favola vera» (dal «Re nudo» di Schwarz) diretti da Paolo Magelli. Era il gennaio 1972 e in quello spettacolo recitava anche Pamela Villoresi. Chi l’avrebbe detto che più di trent’anni dopo quei due ragazzi si sarebbero ritrovati a lanciare insieme una sfida nel nome di Pinocchio.
Benigni al cinema, Marconi in teatro con un musical coraggioso. Per farlo ha messo su il Teatro della Luna, ha affidato la musica ai Pooh e ha gettato nell’impresa la sua Compagnia della Rancia, con l’audacia di chi è convinto che per andare a Broadway basta fermarsi alle porte di Milano.
Partire da Prato e trovarsi a Collodi. Tutto studiato?
«Ricordo i tempi del Teatro Studio. Mettemmo su uno spettacolo, il Re Nudo. Io feci i costumi. Benigni aveva la parte di un primo ministro. Ma è una fatalità. La riscoperta di Pinocchio era nell’aria. Io stesso ci stavo pensando da almeno tre anni. E poi lo avevo già portato in scena due volte, per le scuole, sia con i burattini che con gli attori».
Però, dopo trent’anni, Pinocchio le sta facendo incrociare di nuovo la strada di Benigni. E’ solo perché siete toscani?
«No. Anzi, Pinocchio non è da toscani. Pinocchio è per tutti gli italiani, è la nostra grande favola».
Ha visto il film?
«Sì»
E come l’ha trovato?
«Molto bello. Affascinante, pieno di idee, con scene e costumi stupendi».
Eppure gli americani non l’hanno apprezzato.
«Loro conoscono il canone di Walt Disney, che è un’altra cosa. Sono abituati a vedere quello. Era difficile far passare l’idea del nostro Pinocchio».
Il suo è davvero un Pinocchio diverso?
«Credo che tanto il mio che quello di Benigni siano molto fedeli alla favola. L’ho solo spostato un po’ avanti, cercando di trovare in Collodi una valenza universale, una riscoperta di valori profondi».
Chi è Pinocchio?
«Non è il monello cattivo. E’ un ragazzino che come tutti vuole scoprire il mondo, che si imbatte per la prima volta nella sua coscienza, nei pericoli della vita - il Gatto e la Volpe - e che va nel Paese dei Balocchi. Tutti noi, una volta, ci siamo stati e ne siamo usciti pagando. Pinocchio ha pagato diventando un ciuco».
E di Geppetto che dice?
«E’ pur sempre un falegname, ma è più padre che nonno, a differenza, in fondo, di quello di Collodi. Non c’è la povertà, poi, e non c’è quel moralismo che dice che se si lavora e non si dicono le bugie si diventa uomini. La bugia fa parte dell’uomo. La novità semmai è Angela. Nella favola c’è la fata, che prima è una bambina e che, in seguito, potrebbe essere la mamma di Pinocchio. Il personaggio è stato diviso. Nel musical c’è Angela che ha un ruolo materno».
Uno spettacolo come il suo in Italia. Non siamo a Broadway né a Londra...
«E’ per dimostrare che anche in Italia possiamo fare il grande musical e non soltanto spettacoli di giro. Certo, c’è voluto un teatro nuovo, costruito intorno a uno spettacolo dai grandi effetti visivi. Altrimenti, sarebbe stato come per gli altri spettacoli. Dopo un po’, anche se vanno bene, devono andarsene. E non è facile adattarsi tanto al Metastasio di Prato che al Sistina di Roma».
A Prato tornerà fra poco con Holly Dolly?
«Sì, al Politeama. Ho amici a Prato, un fratello a Firenze. Torno volentieri, anche se ho diversi spettacoli in giro».
La critica, tornando a Pinocchio, ha risposto entusiasta. Durerà?
«Trovo affascinanti le sfide difficili. Quando ho cominciato a fare i musical mi hanno dato del pazzo. Ora non mi pongo limiti».