Contrariamente a ciò di cui tanti si sono convinti vedendo la sua interpretazione da Emmy in The Bear, Jeremy Allen White (Springsteen: Deliver Me From Nowhere) non è un tormentato figlio di Chicago, ma è cresciuto a Carroll Gardens, Brooklyn. Non è nemmeno un inquieto aspirante musicista, benché a ottobre abbia indossato i panni di Bruce Springsteen in Springsteen: Deliver Me From Nowhere. E non è neppure un ex – sì, sempre tormentato – teppistello geniale, come quello che ha interpretato per un decennio in Shameless. In realtà, Jeremy Allen White non è nemmeno Jeremy Allen White. «Non è così che io mi percepisco», dice a VF via Zoom dalla sua casa di Los Angeles. «A volte ho davvero la sensazione che la gente parli di qualcuno che io non conosco». Usa il suo secondo nome per ragioni puramente burocratiche: l’«Allen» è stato aggiunto solo quando ha scoperto che un altro Jeremy White si era già registrato alla Screen Actor Guild, il sindacato degli attori.
«Lo incontrerei molto volentieri», dice White riguardo a questo suo alter ego anagrafico. «Potrei parlargli e magari vedere se mi concede di riprendermi il nome Jeremy White».
Nel frattempo, sta facendo la pace con la percezione che il pubblico ha di lui. «Credo che sarò sempre grato del fatto di aver potuto lavorare a lungo, tra la fine dell’adolescenza e tutti i miei vent’anni, senza il peso di essere un personaggio troppo esposto», racconta. «Shameless era una serie molto popolare, ma nessuno ha mai sentito il bisogno di intervistarmi. E, quando capitava, mi sorprendevo a imitare Sean Penn, o meglio, la mia idea di Sean Penn. Cercavo di sembrare distaccato o duro, in qualche modo. The Bear mi ha portato su un altro livello, ma sono fortunato che sia arrivato nei miei primi trent’anni, ora che mi sento un po’ più a mio agio con me stesso e non ho più la sensazione di dover ostentare un’aria seriosa o tormentata».
Come a volerlo dimostrare, scherza: «Sono autorizzato a sorridere, ma non troppo spesso». Accenna un mezzo sorriso.
E se la fama lo mette a disagio, il lavoro che gli è valso tanti apprezzamenti continua invece a entusiasmarlo. Guarda con ammirazione una lunga schiera di star: Penn, naturalmente, ma anche Al Pacino, Robert De Niro, Sam Rockwell, John Turturro e Steve Buscemi. Alcuni sono più noti per i ruoli secondari che per quelli da protagonista, ma non importa: «Avevano questa urgenza di lavorare con sceneggiatori e registi straordinari, e spero davvero che anche a me sia data l’opportunità di fare lo stesso. A me piace lavorare solo con i registi che amo».
Anche i partner sul set sono ugualmente importanti. «Aspiravo ad avere lo stesso livello di dedizione, ma quando ti metti a confronto con Jeremy Strong sarai sempre in difetto», dice a proposito del collega in Springsteen. «Da lui ho imparato tantissimo».
White, Strong e il resto della squadra di Springsteen sono volati al Telluride Film Festival questo autunno, e lì ha incontrato Chloé Zhao, una regista che ammira profondamente. Dopo averle detto quanto fosse un suo grande fan, White è uscito a fumare. «Mentre mi incamminavo, sento: “Jeremy, Jeremy!”, mi volto, ed era Chloé Zhao che faceva il gesto del cuore con le mani. E allora mi sono girato e gliel’ho fatto anch’io», racconta. Peccato che Zhao stesse rivolgendo il cuore a Jeremy Strong, che era lì accanto. «Sono certo che vivrò molti altri momenti imbarazzanti, convinto che la gente voglia parlare con me… quando in realtà sta cercando Jeremy Strong».
White ha spuntato un altro nome dalla sua lista dei registi dei sogni ottenendo un ruolo nel prossimo film di Star Wars diretto da Jon Favreau, The Mandalorian and Grogu. Presta la voce a Rotta the Hutt, figlio di Jabba. «Mi rendevo conto di non avere mai fatto nulla che le mie figlie potessero davvero godersi», dice, riferendosi alle sue due bambine.
Le piccole, per la cronaca, non hanno ben chiaro neanche loro chi sia Jeremy Allen White. «Hanno visto i primi minuti del primo episodio di The Bear, in cui io vengo spaventato da un orso e cado con il culo per terra, cosa che trovano esilarante. Sono convinte che quella sia l’intera trama della serie», racconta. Una visita a Chicago ha aggiunto ulteriore confusione: «Un giorno volevo portarle sul set. Dovevano arrivare verso mezzogiorno, ma abbiamo chiuso alle undici». Così White le ha incontrate in una storica paninoteca di hot dog chiamata Gene & Jude’s. «La mia piccola, Dolly, è convinta che io passi un’enorme quantità di tempo fuori città a vendere hot dog. Viaggio spessissimo solo per distribuire hot dog alla gente».
Le figlie di White sono fan sfegatate dell’hit estivo di Netflix KPop Demon Hunters, e lui stesso non è immune al suo fascino. «Adesso tutte le feste di compleanno, i costumi di Halloween e i regali di Natale devono essere a tema KPop Demon Hunters», racconta. Le bambine hanno anche provato ad arruolarlo per un costume di gruppo ad Halloween, ma lui era a Vancouver a girare il nuovo film di Aaron Sorkin, seguito ideale di The Social Network, in cui interpreta il giornalista Jeff Horwitz. Scherza sul fatto di esercitarsi a battere sulla tastiera per il ruolo, perché White in realtà non possiede un computer, solo un iPad, un iPhone 12 e lo stesso indirizzo email AOL che usa da quando aveva quattordici anni.
Per essere uno la cui fama è stata amplificata enormemente da Internet, White è sorprendentemente offline. «Ho Instagram, lo uso per lavoro, e qualche volta mi capita di curiosare in silenzio, ma cerco di evitare anche quello», dice. «Cioè, io capisco, o penso di capire, che cos’è un meme?». Gli amici gliene mandano alcuni, di solito quelli che lo ritraggono nei panni di Carmy, il tormentato chef di The Bear. Li trova divertenti, anche se un po’ spiazzanti. «Da solo non li trovo. Non so proprio dove guardare, a dire il vero». È molto più probabile trovarlo mentre scorre app immobiliari: «Ovunque vado penso: “Forse potrei vivere qui”», dice.
Un pensiero perfetto per un uomo che potrebbe essere chiunque.
(Fonte: vanityfair.it di di Kase Wickman)


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