Vi aspettiamo a Milano … al Cabaret

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Scritto da: Redazione • 12 Novembre 2015
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E’ in scena fino al 22 novembre al Teatro della Luna di Milano "Cabaret", il celebre musical di Joe Masteroff, basato sulla commedia di John Van Druten e sui racconti di Christopher Isherwood, con le musiche di John Kander e le liriche di Fred Ebb (tradotto da Michele Renzullo). Giampiero Ingrassia è il maestro di cerimonie mentre Sally Bowles è interpretata da Giulia Ottonello. Ingrassia si cimenta in un ruolo complesso e dalle mille sfaccettature: recita ma soprattutto canta, con un momento di particolare intensità in “I don’t care much/Non importa”. E nell’invito del Maestro di Cerimonie agli spettatori ad affrontare la realtà e ad abbandonare l’indifferenza è racchiuso il senso profondo dello spettacolo: “Vi emozionerete, piangerete, sicuramente, e vi farete molte domande”. Fragile ed evanescente, Sally Bowles (Giulia Ottonello) è la giovanissima stella del club berlinese “che splenderà più di una stella” e inizia una relazione tempestosa con il giovane romanziere americano in cerca di ispirazione Cliff Bradshaw (Mauro Simone). E, mentre Sally sogna di diventare una grande attrice, fuori dalla porta del trasgressivo Kit Kat Klub il mondo va in frantumi. Nella Berlino dei primi anni Trenta, sullo sfondo dell’avvento del nazismo, si intrecciano così le storie degli altri personaggi (l’austera Fräulein Schneider/Altea Russo e il timido e riservato ebreo Herr Schultz/Michele Renzullo – insieme prima in un romantico e delicato duetto e poi costretti loro malgrado a separarsi; la libertina Fräulein Kost/Valentina Gullace e il nazista Ernst Ludwig/Alessandro Di Giulio) mentre sulla Germania, e sulle vite di tutti, sta per abbattersi la furia hitleriana. “La vita è un cabaret”, canta Sally Bowles sul finale dello spettacolo, ma nel celeberrimo brano – cui Giulia Ottonello dona straordinaria vocalità e, allo stesso tempo, profonda drammaticità – esplodono i tormenti, le aspirazioni fallite, il tentativo di cercare spensieratezza anche quando il dramma incombe. Saranno le ultime battute di Cliff a preludere al tragico epilogo: “C’era un cabaret ed un presentatore e una città chiamata Berlino in un paese chiamato Germania, ed era la fine del mondo”. E per il Maestro di Cerimonie non resta che una parola: “Auf Wiedersehen”. Questo nuovo allestimento di “Cabaret” (il terzo per la Compagnia della Rancia dopo le edizioni del 1992 e del 2007) è amaro, duro, toccante: è teatro nel teatro, con una scenografia che “invade” il palcoscenico, firmata da Gabriele Moreschi e dallo stesso Saverio Marconi. Eleganti e frutto di ricerca storica i costumi di Carla Accoramboni, che, insieme al disegno luci di Valerio Tiberi, regalano allo spettacolo atmosfere ora intense ora quasi sospese. Esplosivi i quadri musicali del Kit Kat Klub, con le potenti coreografie di Gillian Bruce tra cui spicca la travolgente “Mein Herr”, in cui la voce di Giulia Ottonello si fonde con le sensuali interpretazioni delle ragazze del cabaret (Ilaria Suss, Nadia Scherani, Marta Belloni); completano il cast Andrea Verzicco e Gianluca Pilla. “Cabaret” vanta una colonna sonora straordinaria, a diritto entrata nel patrimonio dei musical grazie a brani intramontabili come “Wilkommen”, “Money”, “Maybe This Time” (Questa volta) e “Life is a cabaret” (La vita è un cabaret) eseguiti a Milano dall’orchestra dal vivo diretta da Riccardo Di Paola, anche al pianoforte (Tiziano Cannas Aghedu alla tromba, violino e fisarmonica, Adalberto Ferrari al clarinetto e sax tenore, Alessandro Cassani al contrabbasso, Martino Malacrida alla batteria); la supervisione musicale è di Marco Iacomelli, il disegno fonico di Enrico Porcelli. Il regista Saverio Marconi ci parla così di questo spettacolo: "Se per tre volte, nel corso della mia carriera, ho deciso di mettere in scena “Cabaret”, è perché in tre periodi differenti della mia vita, lontani e diversi tra loro, ho sentito la necessità di guardare (e far guardare) oltre il sipario del Kit Kat Klub. Uno spettacolo che conosco molto bene, e a cui tengo molto, che questa volta, dimenticati i riferimenti al film, ho messo in scena “come voglio io”, con una nuova e profonda sincerità nell’affrontarlo. Una lettura più dura, con alcuni momenti di teatro nel teatro, molto più attuale, dunque, che costringerà gli spettatori a mettersi di fronte alla tendenza di oggi a lamentarsi, senza però mai reagire per cambiare davvero. Ho pensato e firmato a quattro mani con Gabriele Moreschi una scenografia che “abbraccia” il palcoscenico, una pedana, un vecchio sipario, le tavole consumate e intrise di memoria: è così che ogni sera si rievoca un periodo storico, attraverso quella musica, quelle storie che – come in un girotondo schnitzleriano – continuano ancora oggi il loro racconto, senza soluzione di continuità e di emozioni. Insieme a un cast straordinario, raccontano di un’indifferenza colma di paure ed egoismo, con la speranza che, al prossimo giro, per una volta vinca il coraggio di affrontare la realtà. A 25 anni di distanza da “A Chorus Line”, siamo tornati a debuttare al Todi Festival, proprio da dove ci eravamo affacciati sulla scena teatrale italiana. 25 anni in cui il mondo, fuori e dentro i teatri, è cambiato. Ma c’è una cosa che non è cambiata e credo che questo sia un tema che non muore mai: l’indifferenza della gente che non si occupa (o preoccupa) di quello che gli succede intorno se non ne viene toccata direttamente. Allora nacque il nazismo, oggi cosa nascerà?"  

 

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Una foto di scena

 

Una foto di scena

 

(Foto @ Giulia Marangoni)

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